Le professioni del futuro
Quali sono le professioni del futuro ma soprattutto quali sono le professioni più richieste?
Dal momento che oggi non ci spostiamo più senza il nostro smartphone per essere sempre connessi è inevitabile che i lavori del futuro siano necessariamente attinenti all’universo dell’Industria 4.0.
Se fino a poco tempo fa si parlava di ingegnere, economista o chimico oggi si parla una lingua diversa. Essenzialmente si parla inglese.
Dovendo citare le professioni del futuro infatti, si deve parlare di data specialist, data scientist, cyber security specialist, business intelligent analyst, designer engineer, regulatory affairs, business analyst e Hse specialist.
Nomi difficili e forse sconosciuti ai più ma assolutamente emergenti.
I digital jobs
Le professioni dell’Ict non sono solo le professioni del futuro perché già oggi fanno la parte del leone se si analizzano i dati riguardanti l’occupazione soprattutto giovanile.
Si tratta infatti di lavori che stanno crescendo nel mercato internazionale ed in quello italiano con un ritmo maggiore rispetto a quello dei settori tradizionali.
Tra i settori particolarmente in crescita c’è quello dei creativi con il web designer, ma non vanno neanche sottovalutati i settori tradizionalmente intesi.
Nuove professioni e investimenti
Inutile dire che investire in questi nuovi settori potrebbe far aumentare notevolmente anche l’occupazione.
Non a caso nel 2009 il Sole 24 ore riportava le conclusioni di uno studio del Cerm (Competitività, Regolazione e Mercati) che evidenziava come un investimento di 3 miliardi di euro nello sviluppo delle infrastrutture digitali avrebbe portato nel nostro Paese una ricaduta occupazionale di circa 150 mila posti di lavoro. Interventi mirati nei settori della fibra ottica, nella digitalizzazione dei servizi sanitari e nello sviluppo di modelli più efficienti legati al settore energetico.
Il settore farmaceutico e la ricerca del Cerm
Ma c’è un altro settore in forte espansione in Italia.
Sempre il Cerm ha evidenziato che nel 2015 il volume del commercio di prodotti farmaceutici è aumentato di nove volte rispetto a vent’anni prima.
Non solo. Sempre secondo la ricerca, nell’ambito dell’Unione europea l’Italia sarebbe al secondo posto per fatturato preceduta solo dalla Germania. Il 73% della nostra produzione sarebbe inoltre destinato all’esportazione.
Nel solo 2015 la spesa per il settore farmaceutico e quello biotech sarebbe stata di circa 1,5 miliardi tutti provenienti però (il 90%) dal settore privato.
Lavorare nell’industria del farmaco
La ricerca ha messo in evidenza l’esperienza della Glaxo Smith Kline (GSK), la multinazionale che in Italia con le consociate ha fatturato 1,8 miliardi di euro con un miliardo di valore aggiunto.
Sempre secondo la ricerca del Cerm, le attività italiane del gruppo hanno rappresentato un interessante caso di studio proprio per la capacità dimostrata di stabilire collaborazioni di ricerca capaci di valorizzare centri di ricerca e centri di competenze anche in settori diversi da quello della ricerca industriale.
E grazie a queste collaborazioni sono state sviluppate terapie per sette diverse malattie genetiche.